La settimana scorsa, dal 14 al 18 luglio, si è tenuta a Durban, in Sudafrica il meeting internazionale dell’Icaan (Internet Corporation for Assigned Names e Numbers), l’ente che gestisce e controlla l’assegnazione dei nomi di dominio di tutto il mondo. Durante l’evento ha avuto luogo una faida virtuale per l’acquisizione del dominio .kosher. Questo termine, in ebraico, indica un cibo adatto per essere consumato dal popolo ebraico, ovvero un piatto che segua tutte le regole dettate dalla religione ebraica. Il tema della discussione era la richiesta del dominio di primo livello “.kosher” alla Kosher Marketing Assets Llc. Sono le 5 organizzazioni Orthodox Union, Star-K Kosher Certification, Chicago Rabbinical Council, Kashruth Council of Canada e Kosher Supervision Service, meglio conosciuta come Kof-K che si sono opposte alla possibile assegnazione del dominio “dot-kosher”, con la motivazione che una tradizione sacra non può essere sfruttata a fini di lucro.
Ma vediamo meglio le due parti e le loro tesi. Da una parte c’è quanto sostenuto da Harvey Blitz, presidente della Kashruth Commission della Union of Orthodox Jewish Congregations of America, un ente con sede a New York cui fa capo l’agenzia OU Kosher, che rappresenta il più grande ente certificatore al mondo e portavoce del pensiero dei gruppi prima citati. Pensiero che è il seguente: la commercializzazione della parola “kosher” farà un cattivo servizio al modo di intendere la religione. Oltre che un danno ai consumatori.
Quelli della Kosher Marketing Assets, divisione della OK Kosher Certification, società con sede a Brooklyn e diretta concorrente della OU Kosher non la pensano allo stesso modo. Don Yoel Levy, CEO della Kosher Marketing Assets dichiara di non aver mai voluto controllare in modo esclusivo il dominio in questione e si mostra disponibile a collaborare con gli altri gruppi.
Per i nuovi TLD l’Icann ha iniziato ad accettare le domande nel gennaio dello scorso anno e a novembre 2012, la Kosher Marketing Assets ha presentato richiesta per il .kosher pagando 200mila dollari per portare a termine la registrazione, fissando in 600 i licenziatari del dominio entro i primi tre anni. Dopo l’obiezione formale a Durban da parte delle 5 organizzazioni si profila una lunga battaglia legale. E non sarà l’unica: controversie sono nate anche in merito al dominio .halal, che si riferisce stavolta alle norme musulmane sulla preparazione e consumazione dei cibi.